Lei dice: “Portami…”. E tanto basta: “portami”. Siamo abbracciati, eppure non basta, non serve, se a quella sua preghiera io non so rispondere. “Portami…” è un sussurro, è un segreto nascosto, un desiderio esigente, una necessità: “portami”.
Dunque son io quello che va: contatto, la
mano, l’introduzione, otto battute, la schiena dritta, e “portami”. Ma qual è la
direzione, l’intento dei passi? Dove sto andando, io, di così grande, lontano,
quale promessa è mai così importante tanto che lei possa implorare,
e fieramente: “portami”, restandomi stretta?
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