Rimango
piuttosto perplesso e dispiaciuto nel rilevare che una delle più frequenti ed
accanite critiche contro il
“Maleficent”
di Robert Stromberg sia quella di imputargli la presunta colpa di non
aver voluto distinguere nettamente il “Bene dal Male”. Constatato amaramente il
fatto (e forse per analogia di genere cinematografico), con la mente sono
istintivamente riandato alle vicende dei Baggins de “Il Signore degli Anelli”,
e a tutte le volte in cui, compreso nel suo preambolo “Lo Hobbit”, accadeva esattamente
la stessa cosa senza che nessuno (giustamente) se ne lagnasse. Quanto si
mischiavano il Bene e il Male, per esempio, nei personaggi di Gollum, di
Saruman, degli stessi Bilbo e Frodo, o degli Elfi Silvani, abitualmente ostili
agli Hobbit (i “Buoni”) e pertanto, nella logica della contrapposizione, i “Cattivi”...
Eppure l’opera di Tolkien, al quale Peter Jackson si ispira con cronometrica
fedeltà, è considerata testimonianza di
un’etica alta e nobile, fino a raggiungere le vette e i gradi dell’insegnamento
esoterico vero e proprio.
Per questo recente film, invece,
forse a causa della fonte letteraria da cui vuol trarre origine (“La Bella
Addormentata nel Bosco” di Charles Perrault, una delle favole più brutte al
mondo, scritta - e non è un dato irrilevante
- da un autore che ha vissuto due secoli e mezzo prima di Tolkien, e che a
costui non sarebbe stato neppure degno di allacciare i calzari...), ammesso poi
(e non concesso) che non si sia invece ispirato alla stessa Disney di molti anni
prima (lo “Sleeping Beauty” d’animazione del 1959), il trattamento di critica e
pubblico è stato decisamente diverso, perlomeno qui dalle parti italiche, dal momento che prestigiosi siti internazionali gli
attribuiscono un ranking ben più alto.
Personalmente credo, invece, che
questo film sarebbe piaciuto, per esempio, a un certo Fëdor Dostoevskij, il
quale a suo tempo non ebbe certo bisogno del tridimensionale, special-effettistico
e ancora increato mondo di Hollywood per poter scrivere uno dei più nobili,
universalmente ritenuto tale, trattato sulla Redenzione quale “Delitto e
Castigo”. Perché la Redenzione, come insegna appunto anche (e “nel suo
piccolo”, si fa per dire) Dostoevskij, non può non passare che attraverso
l’assunzione del Bene e del Male insieme, magari a dosaggio differenziato,
magari con temporalità o consequenzialità modulate ognuno a suo modo e secondo
il suo “destino”, in una esposizione tesa a dimostrare (ipotesi che amo
spassionatamente) che il vero, unico “Bene” al quale si possa avere accesso sia
la Redenzione stessa, e non un “Bene” che, di per sé, non significa nulla, come
quando si guarda un documentario sulla savana africana allorché, a seconda che
il protagonista ne sia la zebra o quello di mamma leopardo coi piccoli da
sfamare, rimbalzi capriccioso da una sponda all’altra.
Agli accaniti critici di cui
sopra, forse anch’essi addormentati dopo il fatidico incontro con il loro
personale arcolaio, forse è sfuggita una delle scene cardine del film, quando
la Strega Cattiva (nonché Fata Buona) Maleficent, a dispetto ed in onore a se
stessa ed alle sue inconosciute sorti, tenta inutilmente di revocare il
maleficio lanciato da lei stessa anni prima sulla neonata Aurora. O comunque è
sicuramente sfuggito (e qui il sonno comincerebbe ad essere colpevolmente
aprioristico e diffuso) il dipanarsi della ingarbugliata matassa del rapporto
tra le due donne, preferendo magari volersi grattare qualche sciocco prurito
lesbico piuttosto che accorgersi dei diversi “steps” della vicenda, dalla
venuta al mondo di Aurora che non può non rappresentare, per Maleficent, altro
che la prova incarnata di un dolorosissimo tradimento (non solo a lei stessa,
ma soprattutto a quel “Vero Amore” cui è stata costretta a cessare di credere),
l’errore della protagonista (solo più tardi compreso) a voler gettare
sull’infante il peso delle colpe non sue (colpa che non potrà che ritornarle
indietro), passando per le scene, toccantissime, una: in cui la piccola Aurora
ancora bebè chiede sorridente alla riluttante Strega/Fata di prenderla in
braccio per un istante; un’altra: quando per la prima volta la già adolescente
Aurora riconosce in Maleficent la sua madrina, “l’Ombra che Veglia” su di lei
fin dalla nascita, e l’entusiasmo che a lei ne deriva viene subito stoppato da
una già confusa Fata/Strega con uno schiocco magico delle dita; ancora (ma non
sarebbe l’ultima...): quando Aurora, alla vigilia del fatidico sedicesimo
compleanno, viene messa a conoscenza
dalle tre fatine della sua vera storia e corre da Maleficent a chiederne
conto... Tutto questo parla del “Bene e Male” come è giusto e reale che sia, e
non come vorrebbero gli stupidi film manichei fatti di cow-boy e indiani, o dei
super-eroi contro gli super stronzi (ben vengano, naturalmente anche queste
interpretazioni, se ben inscenate: non ho nessunissima intenzione di privarmi
di cose alla “Kill Bill”, tanto per dirne solo una).
Insisto e proseguo: come fu per
Gollum, anche l’antipaticissimo re Stefano, padre di Aurora, un tempo fu buono.
E come non notare, nell’ambito della splendida sceneggiatura che Linda
Woolverton ha scritto per questo film, di quanto delicato, e alto, e nobile sia
stato il gesto del cucciolo d’uomo, futuro ignobile Re Stefano che, conosciuta
Maleficent, getta lontano il suo anello di ferro che ostacolerebbe il loro
potersi rincontrare, e di come invece, più tardi, l’atto di tagliarle le ali in
vece di ucciderla (cosa che gli darebbe immediato lustro, onore, gloria e
successo eterni) sia tutt’altro che nobiltà e pietà o misericordia, né tanto
meno (voglio credere) un escamotage scritturale, ma al contrario rappresenti una perversione
insopportabile, mal calcolata e molto tolkeniana (pari probabilmente solo alla
perversione con la quale Maleficent si rapporta ed è morbosamente attaccata
alle sue imponenti ali, simbolo e strumento di potere) che neppure il “Male”, o
il “Bene”, riuscirebbero a spiegare a se stessi...
E che dire delle tre piccole
fate? Da che parte stanno? Giustamente (o accidentalmente, non saprei...) non
lo sanno neppure loro: creature e
cittadine della “Brughiera” capeggiata da Maleficent (felice il bluff con cui
il film si presenta agli esordi: due regni confinanti e in guerra tra loro,
ignari fino all’epilogo di essere un solo, grande Regno, quello della
Redenzione, appunto), si pongono al servizio di non si sa bene chi, dal momento
che Aurora, della quale si prendono goffamente cura per sedici, lunghi anni, è
(o meglio: sarà) al tempo stesso figlia di uno (re Stefano, gli umani) ed erede
dell’altro (quello di Maleficent e delle buffe creature del suo regno
incantato). O del felicissimo personaggio di Diaval (chissà dove gli hanno
pescato, i traduttori italiani, il nome di “Fosco”...), luogotenente corvino di
Maleficent, inesistente nell’opera di Perrault e magistralmente inserito in
questa di Stromberg, che, alla Maleficent che con uno spettacolare e
scintillante e semplicissimo: “Into a Man!” o “Into a Dragon!” dispone di lui,
trasformandolo come meglio ambiziosamente o convenientemente desidera nelle
diverse circostanze, contribuisce, con
giobbesca pazienza e spirito di abnegazione (anche qui: un rapporto tra i due
tutto da decifrare) ad attribuire a lei la summa di ogni sublime ambivalenza,
cangiante come sarà per tutto il tempo nei ruoli e negli umori, titolare di
colpe e di meriti, delle ragioni e dei torti, ora padrona, ora serva, forte e
fragile al tempo stesso, a tratti imbattibile, a tratti senza difesa, solida
testimone che il “Vero Amore” in cui nessuno crede (neppure lei), può trovare
dimora alla fine solo dentro di noi, e
solo se in costante divenire.
Non vorrei soffermarmi troppo sugli aspetti squisitamente
cinematografici, visto che è nella sceneggiatura, secondo me, il vero punto
forte di questo film. Però vorrei aggiungere che, a parte i consueti aspetti di
regia, fotografia, effetti speciali, eccetera, per i quali credo che il film
sia ineccepibile quanto inattaccabile (Stromberg, anche se qui è alla prima
firma da regista, non è certo un ragazzino per i lavori del genere...), tra le
pieghe di una vicenda a mio avviso profondissima e niente affatto leggera, il
nostro regista e la sua sceneggiatrice hanno saputo inserire, impreziosendolo
ancora di più, alcune scene se si vuole semplici e infantili, ma che contengono
una delicatezza assoluta ai limiti della purezza, e il pregio di lasciarci
anche il tempo di divertirci “alla Perrault”. Una su tutte: la breve scena
della battaglia a palle di fango tra Aurora e le creature della brughiera,
girata con maestria perfetta riguardo ai tempi e sulle inquadrature. O anche quella
della dispettosa Maleficent che fa piovere dentro la casetta tra i boschi delle
tre piccole fate (a proposito... che buffo ritrovare un’icona tragica come il
viso di Imelda Stauton nel corpicino miniaturizzato e volante della
fatina-capo!), divertendosi a disturbare un già divertentissimo convitto delle
tre intente a beccarsi tra loro.
Insomma... a questo film, a mio avviso uno dei più belli
degli ultimi anni, non manca proprio nulla. Già solo la Jolie che, pure con le
corna e gli zigomi sovradimensionati, riesce lo stesso ad incantare il pubblico
e a farsi amare come è da tempo (e giustamente) abituata; sul resto del cast
non c’è molto da aggiungere, se non la (disturbante) somiglianza di Sam Riley
(Diaval) col nostro Fabio de Luigi
(sòc-mel, che roba!), l’onesta prova di Sharlto Copley nei panni di Re Stefano
(ah, però... mi vengono i brividi solo a pensare a cosa sarebbe potuto essere
se al suo posto ci fosse stato un Daniel Day Lewis...), e la giovanissima Elle
Fanning (classe 1998) nei panni di
Aurora, che avevo già apprezzato nel bel film
“Ginger e Rosa” di Sally Potter,
qui abbondantemente promossa in un ruolo solo fintamente facile, capace di una
notevole intensità (prego notare le sue bellissime e rapidamente mutevoli
espressioni nella scena del suo incontro col Principe Filippo) e al tempo
stesso capace di calarsi in un personaggio tutto fiabesco che, dopo appunto
ruoli come quello di Ginger, poteva lecitamente considerarsi a lei poco affine
(beata gioventù, che ha ancora tutta una carriera davanti, e mille prove da
affrontare!).
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