Dora ha scelto la sua stanza dei giochi. In quella stanza ha marcato i suoi anfratti
preferiti, i percorsi, le traiettorie, i nascondigli, le strategie d’assalto e
ritirata, i punti forti per lei e quelli forti per me, suo avversario preferito.
Ci litighiamo l’intelligenza di non farci male, suppongo con la volontà di chi
si vuol bene, ma non sempre ci riusciamo. Io, per parte mia, tengo sempre un
piede a bloccare la porta intanto che lei ha finto di nascondercisi dietro in
attesa che qualcosa (un cordino, una matita, meglio di tutti una delle mie
dita) si agiti nell’interstizio sottile con il montante, per evitare che le si
schiacci una zampina nel mezzo. Lei di suo tiene il più possibile le unghie
ritratte, ma non sa darsi pace quando è ora di mordere, e lo fa così bene che quasi tutte le nostre
battaglie finiscono con me in infermeria a tamponarmi con acqua ossigenata, e
lei con la sua coda a mille ad aspettarmi tra la selva di zampe marcate Ikea che
fiorisce sotto il tavolo della sala.
Se nella prossima vita dovessi rinascere
soldato, sono certo di volere Dora come mio generale.
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