Una signora mi disse, gentile, che nella vita, col mio
sorriso, avrei aperto tutte le porte. Era amica di mia madre, io allora ero solo
un bambino, timido, come lo sono ancora. Non lo disse a me direttamente, ma lo
disse a mia madre parlando di me in
terza persona, mentre io ero lì, impacciato, tutto rosso di vergogna davanti a
quei suoi gesti misurati che conferivano a quell’affermazione l’autorevolezza
di un vaticinio benevolo. Mi sembra di ricordare che si chiamasse Lea... se
così fosse, mi verrebbe da dire che nessuno nasce re per caso.
Così è stato: ancora oggi sono un bambino fortunato a cui
basta un rotondo sorridere perché ogni porta gli venga aperta... Ma vorrei
tanto che la signora Lea, allora anziana maestra elementare di tempi che oggi
sono già reminescenze impossibili, fosse di nuovo qui a insegnarmi che cosa
fare dopo. Forse potrebbe spiegarmi qualcosa di quell’abisso che si apre dietro
ogni porta, spiegarmi la differenza fra un trucco e un prodigio, dirmi qualcosa
del non saper entrare, del mio restare appeso all’uscio così, col mio sorriso immobile di scimmia scioccamente
compiaciuta di se stessa e della sua
bacchetta magica di bimbo.
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