Tanto di cappello a questa sceneggiatura scritta a quattro mani
da Benoît Graffin e dallo stesso regista
di origini tunisine Pierre Salvadori: “commedia dell’equivoco” non è sempre
sinonimo di “divertente”, a parte il fatto che sapersi inventare gli equivoci non
è cosa poi tanto facile. Ma in questo caso i due autori hanno saputo inanellare
la serie di “Alcune Verissime Bugie” (meglio il titolo francese anziché quello
internazionale inglese) con una finezza
intelligente e garbata che ha saputo andare al di là della semplice sequela
degli equivoci, cospargendo un’abbondanza di piccoli dettagli per nulla
irrilevanti e assolutamente significativi
per tutta la durata del film, durata perfettamente
calibrata nell’ora e tre quarti (penso ad esempio al dettaglio del foulard
verde scampato per un attimo al destino della spazzatura, o alla firma di “sentimenti anonimi” ripescata identica
all’inizio nell’ultima bugia epistolare).
Salvadori ha inoltre saputo/potuto
abilmente appoggiarsi ad un terzetto di protagonisti davvero encomiabili:
Audrey Tatou (un viso che è un piccolo patrimonio del cinema), Emilie, sciocca
pasticciona senza scrupoli che pure non riesce a tagliare i fili che la legano
alla sua buffa innocenza; Nathalie Baye (Maddy), madre complicata e divinamente
semplice nei molteplici cambi di registro che la sceneggiatura le richiede di
operare (e anche qui si nasconde sapientemente una bugia...), Sami Bouajila
(Jean), orgoglioso eroe della vicenda,
timido e in crisi, pronto a mettersi in discussione ogni volta (indimenticabile
la sua cazziata in cinese nel salone di parrucchieria con non meglio spiegate
interlocutrici asiatiche) e a rimodellarsi così come l’amore che lo sospinge
gli chiede di fare.
Certo, come ogni buona commedia degli equivoci richiede,
qua e là la sceneggiatura ha bisogno di ricorrere a piccole incongruenze (tipo
le suddette cinesi in parrucchieria), ma in un film come questo, dove ogni
bugia è assolutamente veritiera, anche le incongruenze finiscono per passare
inosservate. D’altra parte, questo è
proprio uno degli ingredienti principali per cui, iniziando ad impastare una “normale commedia degli equivoci” come “De Vrais Mensonges”, possa essere alla fine sfornato
un film davvero divertente.
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