E’ piuttosto improbabile (ma non impossibile) che per chi
non si trovi ad essere in qualche modo coinvolto nella pratica del tango o quanto meno del “ballar nobile” (qualunque
cosa ciò significhi, soprattutto considerando che le origini del tango argentino
sono talmente popolari e povere che di più non si potrebbe...) questo film cult
del non lontano 1998, che fu in competizione anche per l’Oscar ed ottenne
numerosi riconoscimenti in Festival importanti anche grazie al nostro Storaro
(Palma d’Oro a Cannes per la fotografia), possa
risultare interessante. L’invito a rispolverarlo è naturalmente rivolto
a tutti, ma le quasi due ore del film sono talmente impregnate di quel ballo
che il non esserne presi rischia davvero di addormentare.
Se invece una qualche
passione, sopita o manifesta, magica o terrena,
vi coinvolge per i passi del tango, allora qui siete a casa, e non
potreste chiedere di meglio per i vostri occhi e per le vostre orecchie nelle
due ore successive.
Partendo da queste ultime, la colonna sonora è davvero
entusiasmante: accanto ad alcune composizioni originali di Lalo Schifrin, gli
arrangiamenti di alcuni tra i brani più classici (“El Choclo”, “La Yumba”, “La
Cumparsita” ...) sono di una pregevolezza impareggiabile; e non saranno
soltanto le esibizioni mozzafiato dei grandi ballerini che partecipano a questo
film (a partire naturalmente da Juan Carlos Copes che mi dicono essere forse
l’interprete più grande di tutti e del cui recente biopic che narra della sua
relazione con Maria Nieves, firmato quest’anno da German Kral, prodotto da Wim Wenders, temo che in Italia riusciremo
a sentirne sì e no l’odore) o la sensualità insita nel tango e così ben
riportata, per esempio, dalla protagonista femminile interpretata da Mia
Maestro (dire attrice di lei è dire poco... vedasi come balla, o come
canta...), ma saranno anche le prove del cast del “film nel film” ( piccola
milonga semplice danzata al ritmo struggente e delicatissimo del pianoforte
che, solo, suona il tango-waltz “Flores de Alma”), o le sudate lezioni delle severissime scuole
argentine dove il tango, più che essere una danza, pare essere un vero
combattimento tra leoni, o le irruzioni improvvise della realtà crudele che fu
dell’Argentina dei “desaparecidos” coreografate con scene e luci da brivido, a
far apprezzare questo film. Che dire, ad esempio, delle prove di danza dei
bambini? Che “Tango” e “Argentina” sono una cosa sola? Cos’altro dire davanti a
questi frugoletti timidi o sanguigni che si muovono come farfalle e sono
pronte, accoppiandosi, a diventare quel
“Mostro a Quattro Gambe” (come qualcuno definisce il tango) con una naturalezza
disarmante?
Poco o nulla: si potrebbero fare alcune piccole obiezioni, come sull’inadeguatezza quasi fantozziana di Miguel Ángel Solá come attore protagonista, o sulle vicende “quadrate” degli intrecci amoroso/mafiosi che contribuiscono alla trama, ma davvero ogni cosa viene seppellita in primis dal tango, e poi dalla maestria di Saura che sa cogliere ogni aspetto, inquadrare ogni cosa, dai piedi agli sguardi incrociati in primo piano dei danzatori, dagli impeti di passione della danza e dalle allucinazione che procura, ai chiaroscuri in controluce del “finto set”, dando a questo film un passaporto universale che può valere, buona volontà permettendo, anche per chi col tango non ha nessuna o poca (come nel mio caso) confidenza.
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