Dora mi ama a graffi e morsi, come ho sempre fatto anch’io
con i miei amori. Mi cerca, mi chiama, mi vuole per giocare. Non è del mangiare
che chiede: chiede di me, e quando io mi
faccio dappresso, subito mi aggredisce. Io resisto, accetto, lascio che sia
così. Continuo a volerle bene di più ogni giorno che passa, forse perché vorrei che le mie mani
perennemente arrossate e solcate dalle sue unghie servano a spiegare, e a
spiegarmi, che torto e colpa non sono la
stessa cosa, che quel suo modo di amare, che è anche il mio, è sbagliato, ma
non è illegittimo, e che ha pari dignità con gli tutti gli altri amori fatti di
altre cose...
Era già salita sul letto altre volte mentre io ero lì per il mio riposino del
primo pomeriggio, sempre fermandosi nell’angolo in fondo. Oggi invece ha fatto
qualche passo avanti, mi ha dato i suoi occhi,
pochi secondi, dilatando il cerchio nero dell’iride come se mi stesse invitando
ad entrare. Si è accucciata di fianco a me, poco sopra il ginocchio, rincalzandomi
la copertina, col suo peso indifferente, all’altezza della coscia. Ma al mio risveglio,
era già sparita.
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