Personaggio essa stessa del suo film (come lei stessa ha spiegato) e non
semplicemente “l’io narrante” di un’esposizione autobiografica nella quale si
mette comunque indiscutibilmente in gioco (una delle figure principali fra
quelle proposte è quella di suo padre), Danco propone una carrellata
irresistibile di personaggi e battute, dialoghi/intervista col mondo dell’adolescenza
e della senilità, accomunati da quello status di “stand-by” nei confronti della
vita che “la generazione di mezzo” (quella attiva, a detta della regista: la
peggiore) è per sua natura impossibilitata ad avere.
Forte della sua esperienza teatrale, Eleonora Danco, indovinando pressochè ogni
cosa (dalla scelta delle battute, al ritmo del montaggio, alle pose e alle
inquadrature tipicamente teatrali, attingendo a piene mani da una serie di
riferimenti sia del mondo del teatro che di quello della pittura e della
letteratura) riesce a divertire, a far riflettere, magari a suscitare qualche sana
nostalgia o qualche sano rimpianto (e perché no? qualche sana invidia, visto
quanto sono belli tutti i ragazzi nel suo film).
Un piccolo, grande film, imperdibile per chi ha la fortuna di poter non
perderlo, per il quale una distribuzione “normale” nelle sale o nei circuiti
televisivi sarebbe più che doverosa.
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