Dodici ore dopo quella telefonata, durante l’ultima notte di
primavera, Giovanni è morto. Lui, nato d’Agosto, pieno Leone fiero che dal
cuore dell’estate aveva ricevuto in dono la vita, se n’è andato dalla vita
proprio alle sue porte, discreto e gentile, come volesse farsi da parte,
lasciando all’imminente solstizio l’opportunità di prodigare ad un suo
inconoscibile successore, da qualche parte al mondo, le stesse benedizioni che
un giorno lontano nel tempo aveva preparato per lui.
Ha voluto che il giorno
del nostro ultimo saluto fosse quello con più luce di tutto l’anno, forse per
regalarmi il tempo di piangerlo più a lungo possibile, o perché sapeva che
troppo buio tutto insieme avrebbe potuto spaventarmi, o forse perché non era
per niente un gatto notturno ed amava piuttosto il sole, al quale si
abbandonava volentieri restando disteso per ore nel suo angolo preferito della
terrazza.
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Non è successo su quella poltrona, come avevo ingenuamente creduto quando ancora non sapevo che sarebbe arrivato a non riuscire più a salirci, né a scendervi, ma adagiato “piano terra” dentro un bel cestino colorato di vimini, un morbido cuscino bianco, con me accanto, la mia mano appoggiata al suo cuore mentre tossiva i suoi ultimi respiri stentati. L’ho pulito, spazzolato, e mi sono disteso nel letto con lui adagiato sopra di me, finalmente e di nuovo, come da tanti, troppi giorni non poteva più accadere. L’ho accarezzato a lungo, fintanto che un sonno liberatore e asciutto di lacrime, prendendomi, non ha rinviato ad oggi, primo giorno d’estate, l’ultimo, diluviante addio.
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Dopo quasi vent’anni, per la prima volta ora, sarò completamente solo dentro questa casa. L’idea mi terrorizza, mi sento perduto. Non riesco a decidermi a portarlo di sotto in giardino, tra il pungitopo e l’alloro, dove già da qualche giorno ho scavato il posto per lui. Lo veglio ancora, ogni tanto raccolgo le sue spoglie tra le mie braccia, lo coccolo, lo accarezzo, il contatto col suo corpo è identico a prima, soltanto piacevolmente appena un po’ più fresco. Lui è ancora qui, e io non voglio restare solo...
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Alla fine mi lavo per bene, mi rado, indosso i vestiti da lavoro, puliti; che seppellire un fratello è al tempo stesso dignità e fatica.
Manca poco al tramonto, adesso è ora.
(segue)
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