Allora, se non avessi avuto Giovani accanto a piangere con
me la scomparsa di Candela, se non avessi potuto trovare rifugio e consolazione
nelle carezze che potevo prodigargli, non so come avrei potuto superare da solo
tutto quel dolore. Oggi (domani, domani...) non avrò nessuno. Non so perché
questa cosa non mi spaventi, forse perché nel frattempo sono cambiato. O forse
perché, al contrario di Candela che, pur malata ancor più gravemente di lui non
aveva dato una “scadenza” o un preavviso e il suo appetito era rimasto pur
sempre buono fino all’ultimo giorno, Giovanni ha scelto di allontanarsi piano,
dopo aver annunciato la sua intenzione di andarsene smettendo di alimentarsi.
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Il dottore ha parlato di un dieci, quindici giorni come tempo “normale” di attesa, di cui una buona metà sono già passati. Dice che con ogni probabilità si addormenterà semplicemente, senza mai soffrire, al massimo (forse) un’estrema fase terminale in cui per qualche istante il cervello, raggiunto infine dalla famosa ipo-qualcosa, potrebbe fargli fare strane cose del tutto innaturali ed imprevedibili. In quel caso, ma solo in quel caso, se dovesse trattarsi di spasmi o convulsioni a causa dei quali potrebbe farsi del male, lo porterò in ambulatorio per farlo addormentare.
Ma sono ottimista: Giovanni è stato molto
birichino con me, ma è anche stato sempre onesto e gentile. E tale si è
dimostrato oggi più che mai, dopo avermi dato il privilegio e la dolorosa gioia
di poterlo osservare ed assistere per questi lunghi giorni della sua e nostra
agonia, accompagnandomi paziente e generoso, da quel vero amico che è, verso il
momento in cui dovrò vivere il dolore più grande che potrò aver vissuto almeno
negli ultimi vent’anni. Morirà qui in casa, lo sento. Si lascerà morire
dolcemente, senza far scene, forse addormentandomisi in braccio, mentre lo
spazzolo piano piano sulla nostra verde poltrona, o forse mentre dormiamo
insieme nel letto, accucciato dentro la mia ascella nonostante il caldo torrido
di queste giornate che già gli sconsigli una convivenza con me fisicamente
troppo serrata. O forse morirà intanto che sono al lavoro, o fuori di casa per
qualche altra incombenza, mi sorprenderà con la sua ultima postura aggraziata
ed elegante quando mi recherò da lui con la ciotolina di acqua fresca in mano,
ringraziandomi ancora un’ultima volta, senza parlare.
(segue)
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