giovedì 20 novembre 2014

Ginger & Rosa (Sally Potter)

“Ginger & Rosa” nascono insieme sotto un fungo:  nell’istante in cui a Londra le loro rispettive madri si stringono forte la mano, sdraiate una accanto all’altra ciascuna nel proprio doloroso letto di travaglio, dall’altra parte del mondo, ad Hiroshima, ecco esplodere la prima bomba atomica. Le due bimbe crescono insieme, amiche per la pelle, nel freddo di quella fredda guerra che qualche bene informato dice non essere mai esplosa, mentre qualcun altro, forse informato meglio, garantisce essere tutt’ora crepitante in mille, più o meno grandi rivoli e focolai lontani, e che io, nel mio piccolo, credo invece scoppierà tutto d’un botto anche tre le nostre belle e pacificate pance quando, fin dentro i nostri disperati materassi/salvadanai, la bomba d’aria dentro cui  galleggia l’artificiale sistema economico/finanziario fatto di carta e che ci ha resi fin ora freddamente grassi, farà finalmente “BOOM!”, seppellendoci tutti sotto la venefica coltre di cenere dei nostri poveri (a quel punto: anche maleodoranti), polverizzati IBAN.
   Accantonati i debiti scongiuri, e per tornare al nostro film, “Ginger & Rosa” è un bel ritratto sulle conseguenze della paura: avvalendosi delle belle e giovani figure delle due giovanissime protagoniste (non me ne voglia la brava Rosa/Alice Englert, ma, ancor prima di me, la stessa regista ha voluto affidare a Ginger/Elle Fannning il timone della narrazione, fiutandone - a mio avviso con merito – l’indiscutibile, grazioso talento già due anni fa, quando aveva solo 14 anni), Sally Potter sa indicarci come diventi scivoloso il crinale della vita allorché ci si aggrappa eccessivamente alle certezze inverificabili (per dirla alla Ghezzi), alle aspirazioni insondabili, dalle manifestazioni di piazza che, da che so io, non hanno mai cambiato nulla di tutto ciò che non si sia cambiato da solo fregandosene altamente delle manifestazioni medesime (come non intenerirsi, ed arrabbiarsi insieme, dell’idealismo anoarcoide e libertino di Roland/Alessandro Nivola, il padre di Ginger,  e del suo reclamar diritti sociali e privati che nessuno gli potrà mai spiegare perché, in realtà, non gli spettino affatto), ai talenti personali (quello di Ginger, poetessa, e di sua madre, pittrice e dilettante musicista,  artiste nell’animo, perdenti nella Storia), che perdono “grip” deteriorandosi, non riuscendo a svincolarsi dalle paure che li generano (la “perdita” di un padre/marito, di una famiglia, dell’amica del cuore), fino alle ribellioni (in)cruente, pubbliche e private, di cui sono ottimi testimoni i tre personaggi di contorno:  Bella/Annette Bening (quale onore!), attiva nel movimento pacifista, Mark e Mark2/ encomiabili Timothy Spall e Oliver Platt, questi ultimi nei panni forse non casuali di angelicati omosessuali dediti con fervore alla custodia dell’anima di Ginger.
   Un bel film, una bella regia sensibile e attenta, una (ri)costruzione esatta (dentro e fuori) che sa viaggiare affiancata, senza sentirsene necessariamente partecipe, agli eventi storici tutto sommato trascurabili, una fotografia ed una luce (interiore ed esteriore) che, su me personalmente, hanno avuto il buon effetto (complici:  “tutti i frutti” che suona il juke box della mia personale memoria) di invitare ad una sana, postuma e sempre attuale riflessione.
Bella ed emblematica la scena finale: padre e figlia di spalle, poche parole e di poca intesa, lo sguardo basso... verso il futuro.  

 

martedì 4 novembre 2014

Maledetta, ti amerò

     
   Rimango piuttosto perplesso e dispiaciuto nel rilevare che una delle più frequenti ed accanite critiche contro il Maleficent”  di Robert Stromberg sia quella di imputargli la presunta colpa di non aver voluto distinguere nettamente il “Bene dal Male”. Constatato amaramente il fatto (e forse per analogia di genere cinematografico), con la mente sono istintivamente riandato alle vicende dei Baggins de “Il Signore degli Anelli”, e a tutte le volte in cui, compreso nel suo preambolo “Lo Hobbit”, accadeva esattamente la stessa cosa senza che nessuno (giustamente) se ne lagnasse. Quanto si mischiavano il Bene e il Male, per esempio, nei personaggi di Gollum, di Saruman, degli stessi Bilbo e Frodo, o degli Elfi Silvani, abitualmente ostili agli Hobbit (i “Buoni”) e pertanto, nella logica della contrapposizione, i “Cattivi”... Eppure l’opera di Tolkien, al quale Peter Jackson si ispira con cronometrica fedeltà,  è considerata testimonianza di un’etica alta e nobile, fino a raggiungere le vette e i gradi dell’insegnamento esoterico vero e proprio.