mercoledì 24 febbraio 2016

Estratti di Dora - 02

   Dora mi aspetta, mi aspetta tanto, mezz’ore intere. Io di solito non lo so, ma intanto che sono lì in bagno, assiso sul mio metabolismo lento e problematico  a cazzeggiare col nulla luminescente che fuoriesce dal portatile, o che mi perdo tre le bucce delle sementine innaffiate di sangiovese per strascicare l’ultima parte della giornata, o che mi attardo pigramente sul letto rigirando la mia riluttanza a rimettermi in movimento per non so dove andare, lei è quasi sempre lì, da qualche parte, normalmente sul bordo di qualche mobiletto, o  dietro la porta sul tavolino degli scacchi, oppure sul comò vicino al portaritratti con la foto di Felix, invisibile, mimetizzata con l’aria. 
   Ormai ogni superficie lignea della mia casa che sia appena un po’ rialzata da terra, reca da qualche parte un’aiuola delle sue impronte visibili solo in controluce, raccolte, insistite, impresse a caldo nell’attesa che io mi ricordi di lei, della sua presenza, palesemente prive di qualunque traccia di qualcosa che assomigli solo vagamente alla fretta...
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lunedì 15 febbraio 2016

Il Fianco Sbagliato

   Sono girato sul fianco sbagliato, quello sul quale non dormo bene. Infatti mi si aprono gli occhi e già la mente comincia a scalpitare per volersi mettere in moto. Tutto buio, anche fuori. E’ il fianco sbagliato anche perché, da così, ho la radiosveglia  alle spalle e non vedo che ore sono. Ma lo sento lo stesso, che ore sono, sotto le palpebre: sono le cinque e un quarto, forse le quattro e un quarto, o le tre, un quarto di un’ora qualunque di un’altra notte, scura e di vento,  fredda e senza riposo. Mi giro: invece sono le qualcosa e quaranta, ne manca uno, di quarto, a quell’ora qualunque di notte. Ma non mi cambia nulla: sarò stanco anche questa mattina, mi alzerò di nuovo già senza forze come al solito. 

   Conosco solo un modo per vincere la stanchezza, anzi due, ma uno soprattutto: mangiare. E bere, bere tanto, bere. Se c’è qualcosa che riesce a trascinare il mio corpo attraverso il corridoio di tanta spossatezza e a farmi muovere i passi fino all’istante in cui potrò di nuovo buttarmi a letto o in poltrona, questa è la prospettiva di raggiungere l’ora in cui mangiare e bere fino allo sfinimento, per essere poi così stanco da non riuscire a dormire. 

   L’altra cosa è una doccia calda. Calda e infinita, catatonica, assente, subìta, un loop d’acqua scrosciante e vapore, davanti e dietro, dietro e davanti, sui fianchi, e la testa e le gambe, e via dalla pancia, via tutto, le mani che strisciano, raschiano,  e buttano via, via,  giù per lo scarico, tutto, occhi chiusi.

   Ce n’è anche una terza: scrivere. Ma scrivere, quello non ci riesco.

Wildlike - Frank Hall Green (USA - 2014)

WILDLIKE

“La vita è come il vento: cambia sempre direzione”


Mackenzie è un’adolescente insicura e dagli occhioni tristi truccati di nero pesante. Parte in volo da Seattle verso le terre fredde dell’Alaska per trascorrere un periodo dal fratello di suo padre, morto un anno prima, onde liberare da impegni sua madre, bisognosa di un ricovero in lunga degenza per curarsi da non ben definiti disturbi psichici. Lo zio è molto gentile, cerca di metterla a suo agio in tutte le maniere, ma presto cederà alle tentazioni di indulgere in carezze e visite non gradite nel letto della nipote, la quale si darà così ad una precipitosa fuga nel tentativo di raggiungere di nuovo casa sua. Nella fredda Odissea attraverso le terre selvagge, la ragazza trova con Bart l’aiuto di un uomo forte e buono, aggrappandosi a lui con un’ostinazione che finirà per legare i due in maniera fatale.
“Wildlike” è un pregevole film al tempo stesso delicato (oltre all’infinita dolcezza del viso della bravissima Ella Purnell, si aggiunge la morbidezza dei suoni acustici o solo vocali della colonna sonora, che sono un trasognato tappeto di soffice ghiaccio lungo tutto il tragitto) e duro, una collana di dolori che si incontrano e si integrano tra di loro: oltre al dramma della ragazza, lentamente si disvelerà anche tutta la sofferenza che alligna nel cuore di Bart (cui la straordinaria bravura ed espressività di Bruce Greenwood danno uno spessore davvero notevole), e si uniranno le storie sofferte, raccontate o solo dipinte negli occhi, dei vari personaggi minori che compaiono nel viaggio (il giovane escursionista, l’eterogeneo gruppo nippo/americano che guida gli aquiloni); e ancor prima, in quelli che possono dirsi i “personaggi negativi” della storia (oltre allo zio, mi sento di includere anche la madre di Mackenzie, distratta ed egoista, non per nulla presente soltanto nella scena iniziale all’aeroporto), si può sempre includere un fondo di dolore che determina in qualche modo le loro azioni (la perdita del fratello/marito). 
Il tratteggio del carattere dei vari personaggi, secondo me è tutt’altro che superficiale, ma casomai è fatto con molta discrezione e molto tatto: il regista porta un encomiabile rispetto alle figure che costruisce, evitando di esporle troppo, di darle in pasto ad un’eventuale insana, morbosa curiosità dello spettatore, ma lasciando che si arrivi alle loro profondità interiori attraverso le vicende. In questo senso, gli scenari selvaggi di natura ed animali (l’incontro improvviso con l’orso è al contempo rischio e fortuna, spavento e meraviglia incomparabili) contribuiscono in maniera determinante, diventando essi stessi porte di accesso alla comprensione dell’umanità inscenata.
Pluripremiato, primo promettente lungometraggio di Frank Hall Green, già presente sulla scena del cinema cosiddetto “indipendente” d’oltre oceano come produttore e sceneggiatore, ”Wildlike” è un ottimo film.
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domenica 14 febbraio 2016

Non sono io, da nessuna parte

Non sono io, da nessuna parte.
        Chiedo a un tizio che fuma appoggiato allo spigolo dell’isolato, questo si gira, con la mia faccia, e mi risponde “No” solo con un cenno della testa, scuotendo la cenere come infastidito.
       Più avanti c’è uno che balla, assomigliandomi. Domando, lui mi tira una scoreggia violenta che pare una salva di cannoni imperiali, e inciampa allontanandosi con la scusa del mal di testa.
       Mi infilo in un cinema, due sedili più in là ce ne sono due, uno maschio, uno femmina. Sul bracciolo comune, rosso carminio,  tengono appoggiate e sovrapposte le loro mani, ma sotto di esse si vede lo stesso una grossa macchia bluastra a forma di virus. Picchietto sulla spalla di quello più vicino, il mio dito non tocca nulla, mentre loro si guardano negli occhi con l’espressione di chi lascia intendere che il film potrebbe essere stato piuttosto noioso.
       Cammino fino alla birreria, mi incontro lì dentro intanto che, cingendomi il ventre con tutt’e due le braccia, vomito verde piegato sulle mie scarpe migliori, tra la comune riprovazione. Qualcuno pelato, con un grembiule fuxia e la barba curata del killer, arriva trafelato e sbatte un conto di sei boccali sul tavolino, guardando brutto e nel vuoto, verso la gente. Pago io, ed esco.
       Davanti alla chiesa, un mendicante dalle mie fattezze estrae dal taschino della giacca lercia un catenone e un orologio d’oro dell’epoca dei pirati. “Che ore sono?”, gli chiedo. Mi risponde “Che ore sei?”, ridacchia con pochi denti neri e sputa in terra tabacco masticato.
       E poi basta... In riva al mare, deserto.  E un legno, un grosso legno bucherellato e storto. Si lascia mettere un piede sopra senza un lamento intanto che mi accendo una sigaretta, mentre in cielo qualcosa che porta il mio odore fa scendere piano la pioggia del giorno dopo. 

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giovedì 4 febbraio 2016

Estratti di Dora - 01

   Dora mi ama a graffi e morsi, come ho sempre fatto anch’io con i miei amori. Mi cerca, mi chiama, mi vuole per giocare. Non è del mangiare che chiede: chiede di me,  e quando io mi faccio dappresso, subito mi aggredisce. Io resisto, accetto, lascio che sia così. Continuo a volerle bene di più ogni giorno che passa,  forse perché vorrei che le mie mani perennemente arrossate e solcate dalle sue unghie servano a spiegare, e a spiegarmi, che  torto e colpa non sono la stessa cosa, che quel suo modo di amare, che è anche il mio, è sbagliato, ma non è illegittimo, e che ha pari dignità con gli tutti gli altri amori fatti di altre cose...

   Era già salita sul letto altre volte mentre io ero lì per il mio riposino del primo pomeriggio, sempre fermandosi nell’angolo in fondo. Oggi invece ha fatto qualche passo avanti,  mi ha dato i suoi occhi, pochi secondi, dilatando il cerchio nero dell’iride come se mi stesse invitando ad entrare. Si è accucciata di fianco a me, poco sopra il ginocchio, rincalzandomi la copertina, col suo peso indifferente,  all’altezza della coscia. Ma al mio risveglio, era già sparita.
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