venerdì 30 ottobre 2015

Dreadlock Holiday - 10cc

Me ne andavo in giro tranquillo
badando solo a non farmi male,
quando ho sentito una voce cupa dietro di me
che mi ha fatto saltare dallo spavento.
Mi giro, quattro ceffi usciti da chissà dove,
che prima mi squadrano dalla testa ai piedi,
e poi si mettono a parlottare tra loro...

E io gli faccio: “Non mi piace il cricket:
io adoro il cricket
Non fraintendetemi, portatemi rispetto.
Non fraintendetemi, perchè non avete ancora sentito niente.”

Così, quello butta l’occhio sulla mia catenina d’argento
e mi fa: “Ti do un dollaro”.
Gli faccio “Vuoi scherzare, amico?
E’ un regalo di mia madre”.
E lui: “Mi piace, la voglio. Te la strappo di dosso,
così ti penti di avermi incontrato.
Faresti meglio a renderti conto che non sei un cazzo,
che sei solo, e sei lontano da casa”.

E io gli faccio: “Non mi piace il reggae:
io adoro il reggae.
Non mettermi il bastone tra le ruote,
e non fraintendermi, perché non hai ancora sentito niente”.

Allora corro a tuffarmi nella piscina piena di Pinacolada.
Dietro, di nuovo una voce scura che mi fa:
“Ti va di provare qualcosa di più forte?
Ce l’ho, se vuoi. Il mio Paradiso è il migliore.
Vuoi farti una bella vacanza Rasta? ”.


E io le faccio: “Non mi piace la Jamaica:
io adoro la Jamaica. E non fraintendermi,
perché ancora non ti ho detto niente...”

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mercoledì 14 ottobre 2015

Genitori - Alberto Fasulo (Ita 2015)

    L’equidistanza non necessariamente corrisponde all’equilibrio, e il “mezzo” in cui, con encomiabile sforzo, cerca di porsi Fasulo per voler non essere né troppo universale, né  troppo personale, finisce per assomigliare più che altro ad un “tiepido” scarsamente emotivo.  Poco commuove e coinvolge, e nemmeno troppa solidarietà umana suscita un collettivo di genitori e parenti di disabili con i quali il regista/autore sceglie di interloquire attraverso un distacco asettico che finisce per non spiegare il dramma, per non svelare il dolore, posizionandosi con insana e diseducativa prudenza dietro un “politically/healthly correct” che, non volendo rigirare il coltello nella piaga, finisce per non dire e illustrare quasi nulla della piaga stessa. Emblematico il dibattito iniziale sulla sessualità dei disabili (dire “disabili” è poco, l’universo immagino sia vastissimo e variegato), quasi chiacchiere da circolo di burraco, un accenno alle responsabilità della cultura cattolica presto driblato con poco encomiabile prontezza.
    Fatta eccezione forse solo per un paio dei partecipanti al collettivo, Fasulo non riesce a spremere pathos, ma questo forse non è un male: forse non lo voleva. Però non riesce neppure, né in spettatori al di fuori dell’ambito in cui si muove il tema del film (come me), né  in qualche caso rivolgendosi direttamente agli operatori del settore, ad entrare nel sangue: la camera costantemente  posizionata a pochi centimetri dai nasi “sfiora” e basta, ma non tocca, bussa senza entrare, non ha il coraggio (non vuole averlo?) di farsi avanti, di denudare, di lanciare l’urlo… Sussurra a mezza voce, come nel finale “politico” del gruppetto dei protagonisti alle prese col sindaco, dove l’ipocrisia delle istituzioni che stringono mani dopo le loro promesse palesemente vane, inscenata anch’essa in maniera “politically correct”, finisce per abbagliare anche i migliori critici, che credono di vedere in questo manipolo di fortissimi deboli, di ultimi in prima fila, un “gruppo di potere” inesistente, senza trovare il coraggio di guardare negli occhi e riconoscere in costoro un cenacolo di santi beatamente soli, alle prese con il loro destino.
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venerdì 2 ottobre 2015

Eccomi


Eccomi, e ritorna.
Era gi
à stata la magia dOttobre,
il passo acerbo e fragile
a dare il via alle danze.

Ritorna, ed eccomi,
goffo d’amore antico,
insaporito
frutto da masticare.


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Natural Born Killers - Olier Stone (USA 1994)

Lupi, serpenti, aquile, scorpioni…. Tutti animali “Assassini Nati per Natura” nelle inquadrature introduttive di questo film inquietante e ad alto tasso di disturbo emotivo. La specie umana, “Naturalmente”, non è da meno, e le inquietanti fattezze di due attori  che personalmente considero due “piccoli fuori serie” come Woody Harrelson e Juliette Lewis sono la miglior rappresentazione visiva possibile di questa disturbante realtà. Sempre che di realtà Oliver Stone (basandosi su una scrittura di Tarantino, che più Tarantino di così non si può, nonostante la sua sconfessione non appena apprese le intenzioni del regista…) abbia voluto davvero parlare: dall’utilizzazione smisurata del Kroma-key, fino alla svilente valenza mediatica di quella che avrebbe dovuto e potuto essere una bella e semplice storia d’amore romantica e fatale (si fa per dire...), benedetta dalle Stelle e dagli Angeli del Cielo, auto certificata nella splendida scena del matrimonio “fai-da-te-“ sottoscritto con tanto di patto di sangue tra due anime nate belle e ferite, che hanno avuto la (s)fortuna di incontrarsi e riconoscersi, Oliver Stone patteggia sia col demonio metafisico, sia coi demoni del giornalismo trash una verità inafferrabile, raggiunta e però subito rispedita in corner con la figura centrata (e centrale) dell’indiano-sciamano che i self-made coniugi Knox trucidano per quella che sarà la loro unica, vera e irripetibile esperienza di responsabilità cosciente (“Cattivo! Cattivo!” gli grida lei….).
Tutto il resto del racconto è puro genio/follia tarantiniana, e divertimento, se così si può dire… Certamente, i primi venti minuti del film, vale a dire la scena della prima mattanza nel bar dove Mallory/Lewis balla sensualissima per le prime malcapitate vittime, nonché il successivo racconto di come i due si siano conosciuti (filmato a mo’ di sit-com tutta risatine finte del finto pubblico), sono uno spicchio di cinema indimenticabili e destinati ad essere “cult” per sempre. Nell’ora e quaranta successive, Stone ci inonda a dismisura con cambi di colorazione, alternanza di filigrana, inquadrature per traverso e con sfondi finti che si accavallano e affiancano frenetici le scene, il tutto rigorosamente condito dall’inaudita violenza con cui i due “angioletti” malati di tristezza (parola di sciamano...) insaporiscono la loro esistenza. E così ecco un bambolina rossa volare giù dal ponte nella panavisione in bianco e nero, inserti di cartoon cibernetico o mitologico, draghi e robot killer, indiani pellerossa decolorati che cavalcano a fianco all’auto sportiva, volti improvvisamente distorti dalla liquida entità malvagia che li possiede... Il tutto forse con una sovrabbondanza alla fine tutto sommato inutile, o quanto meno evitabile, o quanto meno poco sensata: la storia, che prosegue poi con l’arresto dei due e la vicenda carceraria che ne segue, andando verso la conclusiva rivolta tribale dei detenuti, forse non aveva bisogno di tanta ridondanza, anche perché già arricchita con l’innesto di due personaggi minori (il poliziotto maniaco che riuscirà a catturarli e il direttore del carcere, vale a dire Tom Sizemore e Tommy Lee Jones, e scusate se è poco) la cui caratterizzazione è in entrambe i casi assolutamente irresistibile (specie nel caso di Jones). Ho  trovato invece sovrautilizzata la figura del giornalista televisivo interpretato da Robert Downey Junior, forse perché mi ostino a (ri)vedere sempre questo film come una “movimentata” storia d’amore piuttosto che come un film sociale, di denuncia dei metodi invadenti e grotteschi dei mass media nella società americana, mentre invece non condivido le critiche di chi vede in tanta celebrata violenza come una sorta di involontaria istigazione  alla violenza stessa (i due protagonisti “eroicizzati” dai fans), ritenendo che la quantità di ironia che Stone ha saputo inserire nello spazio del film (come d’altra parte fa sempre anche Quentin Tarantino nei suoi film) sia di per sé più che sufficiente come controprova e come garanzia di sane intenzioni civiche.
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