lunedì 23 maggio 2016

Memorie per Un Attimo

Di tutte le luminescenti immagini, testimonianze bellissime “dentro e fuori”, di cui si è riempito il mondo virtuale in questi giorni riguardo al film dell’amico Claudio Venanzini, oggi che si raffredda (e direi: “finalmente!”) il calore dei riflettori sulla vicenda, vorrei che l’immagine che metta fine... anzi no: che “dica ciao” a tutto quanto mi è successo per aver partecipato a questa impresa fosse invece questo piccolo selfie niente affatto professionale,  sul quale però è necessario prima dare una breve spiegazione:
durante tutte le riprese del film, la mia febbrile mente, sempre in preda a crisi adrenaliniche scomposte, ha avuto la necessità di punteggiare le varie fasi del nostro “lavoro” con alcuni brevi filmati  che mi facevo da solo al telefonino, poi condivisi con il gruppo del cast, in cui parodiavo quanto stava succedendo sul set  attraverso alcuni sciocchi siparietti in cui parlavo con “Ofiuco”, per l’occasione tramutato da costellazione in palloncino, in origine giallo e sorridente, e una volta sgonfiato quello e man mano che le fasi del film si facevano più drammatiche, sostituito da uno blu e dall’espressione piuttosto sconcertata. 

L’Ofiuco blu è poi sempre rimasto in camera mia, galleggiante e appoggiato nell’interspazio di due librerie, in attesa che anche a lui, come al suo predecessore sorridente, venisse a mancare il fiato necessario a sostenersi. E per me, che come orientamento religioso mi attribuisco quello di “mistico materialista”, non è stata una sorpresa scoprire che proprio questa mattina, l’ormai piccolissimo Ofiuco stava appoggiato a terra, disteso su un fianco, quasi chiedesse di poter dormire.
Ho lacrimato un po’ intanto che lo raccoglievo, per via di un’emozione che è difficile mettere nero su bianco, e che anche se non fosse così complicato farlo, forse sarebbe semplicemente più giusto non farlo, per rispetto verso quell’intimità sublime che può instaurarsi sorprendentemente con un semplice palloncino e con ciò che può arrivare a rappresentare.

“Solo per un attimo”, mi accorgo ora, non è soltanto il titolo del primo (credo per sempre unico) film nel quale, non so dove, ho trovato il coraggio (leggasi “faccia tosta”) di partecipare. E con un’accezione totalmente diversa da quella della battuta di Riccardo nel film, “solo per un attimo”, un attimo della cui eternità Riccardo non poteva sapere (ma io sì) è durata la ressa di emozioni, di benefiche paure, di trepidazioni un po’ infantili e pertanto più che sagge che mi hanno accompagnato dai primi giorni di quest’anno, quando sono cominciate le riprese del film, fino ad oggi, prima che un’orgia di affetti, di pacche sulle spalle, di sorrisi e di abbracci, di amicizie che neanch’io credevo, salutassero la proiezione di questo piccolo, grande lavoro nel quale ho sempre colpevolmente creduto  un po’ meno di quel meritava, e salutassero l’uscita di scena dell’io-Riccardo e del suo piccolo Ofiuco, Stelle per Caso e, appunto Solo per Un Attimo.
Grazie a tutti. 

....

domenica 22 maggio 2016

Che vuoi che dica

Cosa vuoi che ti dica, non posso dir niente...
Da quando ho deciso
di non dire più niente di cattivo
mi manca la terra sotto i piedi,
perché la terra è cattiva,
e senza la cattiveria vengono a mancare
un sacco di argomenti.
Mi toccherebbe diventare un hare krishna,
ma mi ci vedi?
Tamburellar gaudente,
strabico e scomposto,
mentre con una mano tengo
un ninnolo buddista,
l’altra che osanna febbricitante al cielo,
e niente che possa reggere
un calice di birra?
Cosa vuoi che ti dica?
Sono già tutti innamorati di qualcun altro.
Che già, detta così, è cattiva,
e non va bene.
E allora?
Non ti ho cercato io.
Io stavo appeso alle mie
speranze benefiche di pace,
stiravo i miei stracci  intanto
che smaltivo la  sbornia
emotiva e fuori c’era il sole.
E’ vero:  mancava un pezzo.
E tu?

-

sabato 7 maggio 2016

ElephanTango #03




Lei dice: “Portami…”. E tanto basta: “portami”.  Siamo abbracciati, eppure non basta, non  serve,  se a quella sua preghiera io non so rispondere. “Portami…” è un sussurro, è un segreto nascosto, un desiderio esigente, una necessità: “portami”.   



Dunque son io quello che va: contatto, la mano, l’introduzione, otto battute, la schiena dritta, e “portami”. Ma qual è la direzione, l’intento dei passi? Dove sto andando, io, di così grande, lontano, quale  promessa è mai  così importante tanto che lei possa implorare, e fieramente: “portami”, restandomi stretta?
-