domenica 17 aprile 2016

ElephanTango #02

MilongAnnoZero (ELEPHANTANGO / 02) –




Ciao, parto.
Sono pur sempre un orfano,
e le fonti d’acqua non hanno genealogia.

Voi andate,
io seguo, dalla mia parte.
La sete ci riconoscerà, uno per uno,

distinguerà
pur senza fare nessuna
differenza. Limpida crudeltà del correre:

la polvere
è la giustizia ultima,
netta codifica nell’insabbiato solco
di un boleo. 
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martedì 12 aprile 2016

Bailarin Compadrito - Miguel Bucino, 1929

BAILARIN COMPADRITO –

Un vecchio classico del 1929 , testo e musica scritto da Miguel Bucino, dedicato a un ballerino che, iniziata la sua carriera nelle povere periferie di Buenos Aires, grazie al suo talento e alla sua ostinazione di vanitoso ragazzetto un po’ smargiasso, arriva a diventare un Maestro di tango ricco e famoso.

Anche quando non racconta di passioni amorose, la musica del tango è sempre struggente, evocativa, e sa riempire l’animo di chi la ascolta in pochissimi minuti e con pochissimi versi, forse proprio grazie alla sua magica capacità di sintesi, di un’emozione grandissima anche per le piccole cose della vita, quelle semplici, comuni, come l’amore, appunto. O del passare inesorabile del tempo, quando un vecchio e ricco signore di successo si guarda dentro lo specchio sfarzoso di un cabaret, e non può non  rimpiangere, intanto che sente risuonare una “Cumparsita”, quel birbantello squattrinato e ambizioso che era stato un tempo.

Libera traduzione, scevra da intenzioni letterarie. Incluso link audiovideo youtubbuto, non particolarmente pregevole dal punto di vista musicale/canoro, ma originale e dal vivo, e se non altro ricco di buona volontà coreografica e con due bravi ballerini sul palco.

Vestito come un dandy, capelli impomatati
e insieme a una ragazza carina più d’un fiore,
mentre balli in milonga ti dai  un sacco d’arie,
e ti esibisci facendo brillare la tua eleganza.

Qualcuno te l’aveva pur detto, vecchio birbante,
che un giorno saresti diventato il Re del Cabaret,
e che per insegnare i tuoi passi
avresti addirittura aperto un’Accademia.
E la Fortuna, che è Femmina, aiuta sempre i tenaci.

Ballerino sbruffone! che vanitoso muovevi i tuoi primi passi
in quella vecchia balera nella periferia del Barracas,
e ora, dopo aver rincorso  una nuova vita,
vieni a esibirti fino a Maipù!


Io lo so che quando senti suonare “La Cumparsita”
hai un tuffo al cuore, ricordandoti di come la ballavi
in maniche di camicia e senza un quattrino,
mentre ora lo stesso tango lo balli da gran signore.

Però daresti chissà cosa per poter ritornare
per un attimo quello sbruffoncello di un tempo,
perché certe volte la gloria è solo una seccatura,
e certe volte vedi solo un uomo vecchio e triste
dentro lo specchio del vecchio cabaret.
Vestido como un dandy, peinao a la gomina
y dueño de una mina más linda que una flor,
bailás en la milonga con aire de importancia,
luciendo tu elegancia y haciendo exhibición.

Cualquiera iba a decirte, che, reo de otros tiempos,
que un día llegarías a rey del cabaret,
que pa’ enseñar tu corte pondrías academia…
Al taura siempre premia la suerte que es mujer.


Bailarín compadrito,
que floriaste tu corte primero,
en el viejo bailongo orillero
de Barracas al sur.

Bailarín compadrito,
que quisiste probar otra vida,
y al lucir tu famosa corrida
te viniste al Maipú.

Araca, cuando a veces oís La Cumparsita
yo sé cómo palpita tu cuore al recordar
que un día lo bailaste de lengue y sin un mango
y ahora el mismo tango bailás hecho un bacán.

Pero algo vos darías por ser sólo un ratito
el mismo compadrito del tiempo que se fue,
pues cansa tanta gloria y un poco triste y viejo
te ves en el espejo del viejo cabaret.


















































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lunedì 4 aprile 2016

ElephanTango

MILONGANNOZERO – ELEFANTANGO-



  Non so da che parte cominciare, anche perché non voglio farla tanto lunga che, primo: è già tardi, secondo: a farla troppo lunga, poi non ti si fila giustamente nessuno. E terzo, ci metto un terzo: tra qualche tempo che dir non so, forse non saprò nemmeno riconoscere chi è che ha scritto queste cose, perché col tempo si cambia, e per fortuna, e quindi.

 
 Però adesso c’è un gruppo di persone sparse tra le quali mi sono immerso per caso qualche mese fa  come un piccolo fedele nel Gange, verso le quali, in questa notte di capodanno dell’anno Zero, non posso non provare un senso di gratitudine e riconoscenza. Un gruppo, un branco di uomini ed elefantesse che mi hanno fatto (e sempre mi fanno sentire) come quel cucciolo cui i bracconieri hanno ucciso la madre, e che il resto del branco accoglie e raccoglie tra le sue sacre proboscidi come se fosse figlio loro.

   
Le ho guardate tutte, magari di nascosto; delle più giovani ho sentito battere il cuore e ho lasciato che il mio seguisse e condividesse la loro fatica e la paura per quel ritmo così argentino; dalle più anziane ho bevuto la loro festosa doccia, fangosa e fresca, di benvenuto. Ho il solo rammarico di non averle potute abbracciare tutte, di avere soltanto quattro zampe, nessuna delle quali non mi farà un male cane, domattina, dallo sforzo.  

   
Del capobranco invece ho ascoltato la voce, l’ho annusata, poi mi sono smarrito  per un attimo dietro la sua eleganza, e quando è stata la sua ora, il suo momento, non ho guardato per niente i suoi passi, nemmeno uno:  mi sono fermato sul suo viso, sugli occhi ancorché chiusi, le labbra dipinte tra le quali faceva capolino ogni tanto un piccola punta di lingua accorta, divertita, concentrata e fedele.  Ho voluto soffermarmi soltanto sulla sua espressione, non mi importava della tecnica,  perché era dall’odore dei passi,  e dalle insenature del suo volto che volevo imparare, e capire qualcosa.E ho capito, infatti: che si può anche rimanere cuccioli per sempre, e che se non ritorneremo come bambini non entreremo mai.


Firmato: Andrea.

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venerdì 1 aprile 2016

Il sorriso

Una signora mi disse, gentile, che nella vita, col mio sorriso, avrei aperto tutte le porte. Era amica di mia madre, io allora ero solo un bambino, timido, come lo sono ancora. Non lo disse a me direttamente, ma lo disse a mia madre  parlando di me in terza persona, mentre io ero lì, impacciato, tutto rosso di vergogna davanti a quei suoi gesti misurati che conferivano a quell’affermazione l’autorevolezza di un vaticinio benevolo. Mi sembra di ricordare che si chiamasse Lea... se così fosse, mi verrebbe da dire che nessuno nasce re per caso.

Così è stato: ancora oggi sono un bambino fortunato a cui basta un rotondo sorridere perché ogni porta gli venga aperta... Ma vorrei tanto che la signora Lea, allora anziana maestra elementare di tempi che oggi sono già reminescenze impossibili, fosse di nuovo qui a insegnarmi che cosa fare dopo. Forse potrebbe spiegarmi qualcosa di quell’abisso che si apre dietro ogni porta, spiegarmi la differenza fra un trucco e un prodigio, dirmi qualcosa del non saper entrare, del mio restare appeso all’uscio  così, col mio sorriso immobile di scimmia scioccamente compiaciuta  di se stessa e della sua bacchetta magica di bimbo.
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