mercoledì 25 giugno 2014

In Morte del Fratello Giovanni #12

(Capitoli precedenti)


Dato il protrarsi degli eventi più lungo del previsto, ero già deciso a rinunciare al mio buon proposito di lasciare che Giovanni finisse spontaneamente i suoi giorni qui in casa, ricorrendo all’aiuto della medicina: mi aspettavo di trovarlo addormentato prima o poi, senza respiro, così mi avevano detto, semplicemente.
Invece, il suo attaccamento alla vita o non so cos’altro, lo ha portato ad una condizione dove non capisco più, non sono più sicuro se il suo miagolio diventato flebile corrisponda solo all’esigenza di bere o a quella di fare pipì, non capisco se invece significhi “Non voglio morire”, oppure “Aiutami a morire”, oppure, con quella semplicità dell’istinto sconosciuta agli umani, soltanto: “Sto morendo”.

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Mi ero già vestito, avevo portato di sopra il trasportino, provato ad adagiarvelo per vedere se avesse avuto o no le consuete reazioni di panico alla sua vista: nessuna reazione. Telefono, per sincerarmi di trovare presente in ambulatorio l’amico veterinario che potesse praticargli l’iniezione; gli riassumo il quadro, le mie intenzioni, gli chiedo se da lì sia in grado di valutare o meno il suo grado di sofferenza. Mi risponde, forse indovinando dalla mia voce rotta dalla commozione: “In questi casi, se soffrono, si agitano molto e si lamentano molto”.
“No, lui non...” gli rispondo, dicendogli del suo ridestarsi breve e rado, del suo miagolio rarefatto di cucciolo affamato, della bavetta acida e pestilente diventata già  sanguinolenta che gli tormenta in bocca, del ricadere pesante e scomposto agli ormai rari tentativi di tirarsi in piedi.
Gianfranco non è solo un buon dottore, è uno che conosce bene gli animali e che prova per essi un amore al limite della sacralità.
“Tienilo lì”, mi dice.
E’ qui.

(segue)
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