venerdì 13 giugno 2014

In Morte del Fratello Giovanni #6


Ciò da cui nessuno riuscì però a liberarla fu la FIV, un acronimo che sta ad indicare il corrispettivo felino dell’AIDS, malattia diffusa tra i gatti di origine ignota e dal passato burrascoso del quale era facile indovinarne l’esistenza nella vita di Candela per chi aveva potuto assistere personalmente alla sua “tre giorni”. Dal primo manifestarsi dei penosi sintomi della malattia fino al suo irrimediabile epilogo passò circa un anno e mezzo, durante il quale a causa del surplus di attenzioni che dovetti dedicarle (cure sperimentali e palliative, pulizie alle quali non riusciva più a dedicarsi da sola, aiuto nell’alimentazione mirata ed assistita) la gelosia di Giovanni, sino ad allora evidentemente solo diplomaticamente tacitata, prese corpo e consistenza. A guardarlo dall’alto, sembrava diventato un gatto moichano: a partire dalla metà circa della schiena, prima solo lungo un fianco solamente e poi progressivamente in tutti e due, il pelo cominciò prima a diradarsi, poi a sparire quasi del tutto. Esami: nessuna dermatite, feci a posto, sangue pure, parassitosi sotto controllo. Il duo di veterinari si grattò per un po’ il capo con encomiabile modestia, finché non estrasse dallo scaffale un polveroso libro universitario del quale, scorso l’indice e trovata la giusta pagina, mi mostrarono un’appropriata fotografia. “Lo riconosci?”, mi chiesero con altrettanto encomiabile retorica. “E’ lui, è il tuo gatto!”. Diagnosi: stress. “Cure? Una ridicolaggine: oltre al nostro, se ci mettiamo pure a curare lo stress dei gatti, stiamo freschi...”
Quando Candela morì, dopo una crisi alla quale una fortunata coincidenza di lavoro che ritardò il mio rientro a casa mi diede l’opportunità di non dover assistere, e la trovai riversa, agonizzante sul centro perfetto della cornice dello zerbino di cocco come dentro la scena di un film pulp,  in fondo alle scie di sangue e umori di ogni genere che aveva eiettato in quasi tutta la casa da ogni orifizio disponibile, a Giovanni, dopo che aveva potuto annusare e condividere con me l’aria del temporale che coprì tutta la terra in quegli istanti di quel venerdì sei che sembrava essere diventato un venerdì santo, riprese lentamente a ricrescere il nero e lucido pelo lungo i suoi snelli fianchi.
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(segue)
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