giovedì 12 giugno 2014

In Morte del Fratello Giovanni #4

(Episodi precedenti)


Ce l’ho ancora. Rincasando dal lavoro in questi giorni non so mai se mi stia aspettando un buon pasto piuttosto che la penosa fatica di dover preparare qualche angolo del mio confuso giardinetto per seppellirlo. Ma per oggi, ce l’ho ancora. Non poteva che essere lì dove lo avevo lasciato questa mattina, dopo aver serrato bene tutte le finestre affinché il riposo nella sua sordità potesse essere ancora più profondo: sulla “sua” poltrona.
Ricordo benissimo la scena, anni fa, di quando quella poltrona mi fu consegnata. Dovevo rinnovare parzialmente l’arredamento dopo che Simona, andandosene, se n’era portata dietro la sua legittima parte, e l’avevo scelta e ordinata in quattro e quattr’otto in un mobilificio qui della zona. 


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Color verde acceso ed intenso, reclinabile manualmente con alzata poggiapiedi, di un tessuto sintetico al tatto simile al velluto pettinato (che scelsi in quanto il più economico nella convinzione che le unghie dei gatti l’avrebbero presto resa inguardabile), non appena fu poggiata a terra ancora avvolta nel suo involucro protettivo di cellophane, Giovanni, che aveva assistito al suo ingresso in casa con molta curiosità ed interesse, vi balzò sopra immediatamente. Gli arrivò perentoria la mia sgridata, lo tolsi da sopra ma lui risalì subito, e di nuovo una terza volta nonostante i miei strilli minacciosi, e vi si acquattò con accanimento, appiattendosi tutto fino alle orecchie, contemporaneamente stringendo gli occhi ed affilando il muso, finendo per assumere un’espressione di attaccamento morboso e sofferente insieme che non gli avevo mai visto prima. Rimasi molto colpito da questo fatto: normalmente, i gatti si avvicinano con cautela ad ogni cosa nuova, magari curiosi, ma  sempre con circospezione e, specie nel caso di oggetti molto grandi, con prudenza, annusando bene prima di prendere confidenza. Giovanni invece sembrò che già conoscesse, anzi, come avesse ri-conosciuto quella poltrona, la volle subito rivendicare come sua e, per come lo vedevo non curarsi affatto dei miei roboanti ordini, sembrava disposto a pagare qualunque prezzo per ottenere la sua giusta ragione.
Quella poltrona è rimasta praticamente indenne sino ad oggi a tutte le unghiate ricevute, prima da Candela e Giovanni, poi solo da quest’ultimo: il finto, pregevolissimo velluto economico ha sì perso colore, ma non ha miracolosamente neppure un segno di graffio, a parte qualche invisibile buchino grande come una capocchia di spillo nel fronte dei braccioli...
E dunque lì l’ho ritrovato rincasando. Oggi però non è sceso, non ha avuto la forza o magari solo non ha trovato la voglia di scendere per seguirmi in cucina e venire a godersi la sua solita bevutina di acqua fresca. Ho riempito la ciotola e gliel’ho portata io di là, servizio in camera, si è sollevato quel tanto che basta ed ha bevuto a lungo.
Se già nel corso degli anni mi si era vagamente giustificato il motivo di tanto attaccamento, improvviso quanto innaturale che Giovanni le aveva riservato fin da subito, oggi (ma non oggi, non oggi...) riuscirò forse a capire del tutto quella scena così lontana alla quale assistetti, quando, come ormai sono sicuro, sarà su quella poltrona che lo troverò presto per sempre addormentato.


(segue)
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