sabato 21 giugno 2014

In Morte del Fratello Giovanni #9

(Capitoli precedenti)


Lo credevo magro qualche giorno fa: non sapevo ancora quanto magro sarebbe stato oggi. Mi chiedo quale sarà il limite, quanto leggero, quanto evanescente, da quanto affranto stupore sarò colto ancora alzando in braccio questa creatura sempre più debole, abbandonata, e che tende sempre di più all’invisibile.

I segni dell’imminenza della fine si moltiplicano: i bisogni, ormai esclusivamente liquidi, all’arrivo dei quali ora si lamenta un pochino, lasciandomi il tempo di accompagnarlo nella cassettina per aiutarlo nell’equilibrio; la riluttanza che dimostra sempre più di frequente a stare a contatto diretto col mio corpo, sintomo di quell’inequivocabile e classico “volersi allontanare” dei gatti morenti, del quale sembra però pentirsi subito dopo, quando, appena essere sceso caracollante dalla mia pancia, mi lancia uno sguardo prolungato e dolcissimo con aria mesta e  mortificata come a volersi scusare;  il muoversi sempre meno, tanto che ormai si aggira solo tra la sala e la cucina, a parte la camera da letto dove lo “costringo” quando me lo porto dietro la notte per dormire, e un po’ il terrazzo che dà sulla strada, da dove ha visto tutto il mondo che ha voluto vedere. 

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Piuttosto che quell’idea idiota di portarlo al mare o chissà dove, prima che sia troppo tardi, stasera quando fuori sarà un po’ più fresco, voglio portarlo in giro tra le sue cose, quelle che davvero gli sono appartenute e che già da diversi giorni non incontra più: il giardino, dove proverò ad offrigli un filo di quell’erba fresca che masticava sempre; il vano di sotto adiacente al garage, dove ho pulito mille volte le sue pisciatone oceaniche e dove trovava sempre la cassettina che oggi è traslocata qui in cucina per evitargli la fatica del saliscendi sulla scala a chiocciola; la punta del naso della mia automobile, che annusava circospetto e scrupoloso ogni volta che la parcheggiavo in cerca delle prove lampanti dei miei innegabili tradimenti con altri gatti...  E tutti i suoi cuscini, la stanzetta proibita dove lo lasciavo entrare solo per le grandi occasioni, e Dora, la timida gattina dei miei dirimpettai, bianca e nera anche lei come il gatto di diciotto anni fa che lo attirò nel trabocchetto dell’incidente, della quale, non so perché, nonostante le esplicite proposte di lei, non ha mai voluto essere amico, e che pure sono certo che adori, in qualche inafferrabile modo...

(segue)
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